Scritto dalla Dott.ssa Annalisa Barbier
Nei miei precedenti articoli ho parlato della dipendenza affettiva e del modo in cui chi ne è affetto, tende a vivere relazioni sentimentali molto intense, tipicamente connotate dal desiderio di vivere un rapporto simbiotico ed estremamente esclusivo. Queste relazioni diventano frequentemente problematiche e tormentate, dando vita ad un malessere crescente, e altrettanto spesso terminano in maniera molto dolorosa, lasciando si alle spalle rancore, domande senza risposta, silenzio o uno strascico difficile da gestire.
Si tratta di un argomento che suscita curiosità ed interesse poiché riguarda un aspetto molto importante della vita e della salute psicologica di ogni individuo: la capacità cioè di costruire legami sani e gratificanti.
L’importanza delle relazioni interpersonali – e di quelle sentimentali in particolare – è grande: Maslow infatti, nella sua piramide dei bisogni (1954), colloca i bisogni che possono essere soddisfatti nell’ambito della vita relazionale e di coppia (definendoli bisogni di Sicurezza, di Appartenenza e di Stima) subito al di sopra di quelli fisiologici.
J. Bowlby (Bowlby, 1989) fu il primo ad occuparsi sistematicamente dell’indissolubile legame che esiste tra relazioni di affetto e amore e dipendenza, studiando la prima e più importante relazione amorosa che gli esseri umani sperimentano: il legame del bambino con le figure di riferimento (la madre in particolar modo), che sviluppa dalla nascita ai primi anni di vita.
Questo legame è di fondamentale importanza (Guidano, 1987; 1991), (Simpson, 1990), (Bretherton & Munholland, 1999), poiché struttura il sistema di riferimento cognitivo, emotivo e comportamentale (definito Modello Operativo Interno- MOI) che guiderà l’individuo adulto nelle interazioni e negli scambi affettivi e relazionali con le altre persone.
Esso inoltre, è in grado di influenzare lo sviluppo della personalità futura dell’individuo. Molte ricerche infatti, hanno mostrato una correlazione significativa tra condizioni sfavorevoli di accudimento genitoriale, stili di attaccamento disfunzionali e successivo sviluppo di disturbi della personalità: in particolare, i dati confermano (Cois A., Congia P., 2004; Shaver & Brennan, 1992; Dutton et Al., 1994; Congia, Melis & Piselli, 2003) che la carenza di supporto ed accudimento predispone allo sviluppo di stili di attaccamento caratterizzati dalla dimensione dell’ “evitamento” (ritiro sociale, difficoltà a stabilire rapporti di fiducia e ad allacciare relazioni significative con l’altro) e allo sviluppo di disturbi di personalità, particolarmente quelli appartenenti al Cluster A “Eccentrico” (Schizotipico, Schizoide e Paranoide) e al Cluster C “Ansioso” (Evitante, Dipendente; Ossessivo-Compulsivo) del DSM-IV.
Se le prime esperienze con le figure di riferimento sono state positive ed il bambino si è sentito riconosciuto ed accolto, questi svilupperà un sano senso di sé ed una fondamentale fiducia negli altri e nelle relazioni interpersonali. Viceversa, se il bambino ha sperimentato un vissuto doloroso di rifiuto o abbandono nelle sue prime esperienze di attaccamento (Stili di Attaccamento Ambivalente, Insicuro, Disorganizzato), si troverà a provare emozioni ambivalenti di amore/dolore/rabbia per l’amore non ricevuto e la sensazione di non valere abbastanza da essere amato, che porta con sé la convinzione di dover dimostrare sempre in ogni modo, di essere meritevole di amore e accoglimento.
In quest’ultimo caso si andranno a creare i presupposti affinché l’individuo sviluppi una modalità relazionale contraddistinta da dipendenza affettiva.
Quando si è coinvolti in una relazione caratterizzata da dipendenza affettiva, si verificano alcuni sintomi inconfondibili:
- Forte AMBIVALENZA nei confronti del partner: rancore e rabbia si susseguono e sovrappongono ad amore e desiderio
- SENSO DI COLPA
- PAURA DI ESSERE LASCIATI dal partner, abbandonati
- Si vivono ALLONTANAMENTO E DISTANZA CON PAURA, dolore ed disagio soverchianti
- Si teme di mostrare le proprie debolezze per PAURA DI NON ESSERE ACCETTATI
- SENSO DI INFERIORITÀ nei confronti del partner: ci si sente meno validi, interessanti, belli ecc.
- Sensazione di non valere molto, SCARSA AUTOSTIMA
- Profonda GELOSIA (legata da una parte alla scarsa autostima e dall’altra al timore dell’abbandono)
- ANNULLAMENTO DI SÉ e dei propri bisogni per favorire ed accondiscendere il partner
- VERGOGNA di sé
Appare quindi chiaramente quanto sia importante ed influente il legame esistente tra gli stili di attaccamento ed il modo in cui si vivono i rapporti di coppia: infatti, una volta appreso e stabilizzato, il MOI tende a definire le caratteristiche e lo stile delle future relazioni interpersonali. Ci si ritroverà a scegliere ripetutamente partner con caratteristiche simili, a vivere dinamiche di coppia che si replicano con partner diversi, a veder finire le storie per le stesse ragioni, a provare gli stessi sentimenti di fondo (insicurezza, scarsa autostima, eccessiva accondiscendenza, paura dell’abbandono, sentimento di bisogno, gelosia, rabbia ed ambivalenza, scarsa fiducia nell’altro ecc.) con partner diversi e così via.
Ad esempio, un bambino cresciuto con una figura di riferimento (es. la madre) incapace di accoglimento, accudimento e cure costanti ed amorevoli, penserà di no valere l’amore degli altri. Imparerà a non fidarsi, a dover fare tutto da solo, a non mostrare i propri bisogni nel tentativo di negarne la portata, oppure a darsi da fare il più possibile nella convinzione di poter essere amato soltanto se farà il meglio e se darà il minor fastidio possibile. Con ogni probabilità, questo bambino diventerà un adulto caratterizzato da uno stile di attaccamento disfunzionale di tipo Insicuro-Evitante o Insicuro-Ambivalente. Nel primo caso, la distanza emotiva, la scarsa fiducia nell’altro, la paura della fusione e della perdita di autonomia caratterizzeranno le sue relazioni. Nel secondo caso le relazioni saranno invece contrassegnate dalla dipendenza affettiva: controllo, tendenza alla simbiosi, abnegazione o eccessiva accondiscendenza per timore di essere abbandonati, scarsa autostima, sensazione di dover fare di tutto per essere amati, di non potersi prendere cura di sé autonomamente.
Si tende insomma a rivivere, in momenti e con partner differenti, uno stesso copione relazionale, caratterizzato da precisi e ripetitivi aspetti cognitivi (il modo in cui si considera ed interpreta se stessi, l’altro e la relazione), aspetti emotivi (le emozioni prevalenti che si vivono nella relazione: spesso si tratta di paura, insicurezza, ambivalenza ecc) ed aspetti comportamentali (le reazioni ed i comportamenti che si mettono in atto all’interno della coppia), senza riuscire a modificarlo.
IL CAMBIAMENTO POSSIBILE
Per modificare uno schema relazionale che si è rivelato fonte di sofferenza, disequilibrio e relazioni tormentate, occorre innanzitutto rendersi consapevoli del proprio disagio. In questi casi è consigliabile ricorrere al sostegno di uno Psicologo. Un professionista, infatti, sarà in grado di aiutare la persona a riconoscere con chiarezza il proprio copione relazionale (MOI) nelle sue diverse manifestazioni (pensieri, emozioni, comportamenti e conseguenze di questi), ed il proprio stile di attaccamento prevalente. Soprattutto, un professionista preparato a cui affidarsi, permetterà di scoprire come si sono formati e strutturati gli stili di attaccamento ed i relativi schemi relazionali disfunzionali; risolvere i conflitti che ne sono alla base e creare quindi le condizioni perché si possa introdurre gradualmente il necessario cambiamento, al fine di crescere, divenire più consapevoli ed equilibrati e costruire infine, relazioni sane e gratificanti.
Ti può interessare anche: ATTACCAMENTO E PATOLOGIA; QUANDO SERVE LO PSICOLOGO; ATTACCAMENTO E COPPIA
Scrivi commento