Scritto da: Staff di OfficinaDellaMente
Nel maggio di quest'anno, dopo undici anni di lavoro, ha visto la luce l'ultima revisione del più diffuso manuale di riferimento degli psichiatri di tutto il mondo. Anticipiamo i principali cambiamenti rispetto all'edizione precedente, alcuni dei quali sono ancora oggetto di aspre disussioni...
(di Ferris Jabr)
Nell'articolo di "Le Scienze", si legge che per più di undici anni, l'American Psychiatric Association (APA) ha lavorato per rivedere l'ultima versione del suo best-seller: il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM). Anche se il DSM è spesso chiamato la “Bibbia della psichiatria”, non tutti i medici lo vedono come un testo sacro: molti lo considerano piuttosto un utile complemento alle proprie competenze. Tuttavia, negli Stati Uniti le compagnie di assicurazione chiedono spesso una diagnosi secondo i criteri del DSM prima di contribuire ai costi delle terapie, e i ricercatori trovano più facilmente finanziamenti se stanno studiando una malattia formalmente riconosciuta dal manuale. Lo scorso dicembre l'APA ha annunciato di aver completato il lungo processo di revisione; la pubblicazione della nuova edizione, il DSM-V, è quindi prevista per il maggio 2013, dopo un ultimo passaggio di editing (presumibilmente minore) e la correzione delle bozze. Ecco le decisioni finali dell'APA su alcuni dei nuovi disturbi più controversi e i cambiamenti più dibattuti relativi a quelli già classificati, con alcune sorprese.
L'accumulo è ora ufficialmente una malattia
Si tratta della compulsione ad accumulare eccessivamente oggetti(hoarding) che la maggior parte delle persone butta o regala, come vestiti mai indossati,
vecchi giornali e giocattoli rotti. Alcuni degli accumulatori raccolgono ossessivamente animali oppure categorie particolari di oggetti, per esempio tessuti. Molti li conservano in casa,
altri in auto o in ufficio. Anche se le cose si accatastano una sull'altra, divorando lo spazio e lasciando solo stretti passaggi, gli accaparratori rifiutano di sbarazzarsi di alcunché.
In alcuni casi, non pensano che disordine e caos siano un problema. Nelle edizioni passate, il DSM considerava l'accumulo un sintomo del disturbo
ossessivo-compulsivo (OCD). Ora, in seguito a una serie di ricerche ben confermate, il DSM-V lo classifica come un disturbo a sé stante.
© Sandy Huffaker/Corbis
Gli studi pubblicati negli ultimi dieci anni hanno sottolineato che molti accumulatori non manifestano altri sintomi del disturbo ossessivo compulsivo e che nella popolazione generale l'accumulo potrebbe essere più comune dell'OCD. Altre indagini hanno suggerito che, sebbene OCD e accumulo patologico possano coesistere, sono geneticamente e neurologicamente distinti. Fra i genitori e i fratelli di accaparratori, per esempio, vi sono tassi di accumulo patologico più elevati che nei parenti di primo grado di persone con disturbo ossessivo compulsivo; inoltre l'accumulo sembra essere ereditato come carattere recessivo, mentre il controllo compulsivo e la sistematicità che caratterizzano l'OCD sono dominanti. Infine, anche se alcuni antidepressivi, come gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), e la terapia cognitivo-comportamentale spesso aiutano chi soffre di OCD, hanno molto meno successo nel cambiare i comportamenti di accumulo.
Anche gli studi di neuroimaging suffragano la nuova diagnosi.
Hanno rivelato che quando gli accumulatori prendono decisioni su cosa tenere e cosa buttare, la loro attività cerebrale è nettamente diversa da quella delle persone con OCD e delle
persone senza disturbi mentali. Hanno bisogno di molto più tempo per fare una scelta e mostrano una maggiore attività nella corteccia cingolata anteriore, un'area cerebrale che ha un
ruolo importante nel processo decisionale, e nell'insula, che aiuta a interpretare le nostre emozioni e le nostre risposte fisiologiche. Gli accumulatori patologici, a quanto pare,
sviluppano un forte attaccamento emotivo verso oggetti che la maggior parte delle persone non esita a buttare.
La ridefinizione di dipendenza e l'introduzione dei disturbi d'azzardo
Il DSM ha evitato a lungo la parola addiction, parlando piuttosto di sostanze d'abuso e di dependence. Secondo la quarta
edizione del manuale, l'abuso di sostanze si riferisce a un consumo di droga ripetuto che crea problemi sul lavoro, a scuola e nella vita sociale. Per contro, la definizione del DSM-IV di
dipendenza (dependance) da sostanze corrisponde a ciò che molti intendono per "tossicodipendenza": una quantità eccessiva di tempo trascorso per entrare in possesso
della sostanza, una maggiore tolleranza a essa, danni fisici o psicologici dovuti al suo consumo, tentativi falliti di interromperne l'assunzione e sintomi di astinenza.
© igors Sinitsyn / Demotix/Demotix/Corbis
Charles O'Brien, della University of Pennsylvania e Nora Volkow, direttore del National Institute on Drug Abuse
(NIDA), hanno scrittoche la commissione dell'APA responsabile della revisione del DSM-III del
1980 scelsero il terminedependence al posto di addiction per un solo voto. Da allora diversi psichiatri hanno sostenuto che il
DSM fonde i due concetti. In generale, i medici (tra cui la Società americana di medicina delle dipendenze) definiscono la dipendenza non come dipendenza chimica, ma come costante ricerca
e uso di una sostanza nonostante tutte le sue ovvie ripercussioni. Le persone che assumono antidepressivi, analgesici o ipertensivi, per esempio, dipendono da quei farmaci per vivere
normalmente, ma non sono “dipendenti” (addicted). Come risultato della fusione operata nel DSM, scrivono O'Brien e Volkow, "i medici che osservano segni di
tolleranza e sintomi di astinenza suppongono che ciò significhi dipendenza (addiction), e i pazienti che necessitano di ulteriori analgesici vengono lasciati
soffrire. Ugualmente, pazienti che avrebbero bisogno di analgesici oppiacei possono rinunciare a un trattamento adeguato per paura della dipendenza, che equiparano alla
tossicodipendenza.
Ora, l'APA ha fatto un passo per rimediare a ciò che molti considerano una scelta sbagliata. Il DSM-V elimina la confusione fra i due termini: tutte le dipendenze e i relativi
problemi rientrano nella categoria "disturbi da uso di sostanze", in un capitolo intitolato “Disturbi da dipendenza e correlati all'uso di sostanze”. Il DSM-V rafforza inoltre i criteri
per la diagnosi di questi disturbi, graduandoli in lievi, moderati o gravi. Mentre nel DSM-IV per una una diagnosi di abuso di sostanze era richiesto un solo sintomo, nella nuova edizione
un disturbo da uso di sostanze lieve richiede almeno due sintomi.
© Franck Guiziou/Hemis/Corbis
Originariamente, l'APA aveva proposto di inserire un nuovo capitolo intitolato "Dipendenze comportamentali", ma il capitolo non sarà presente nella nuova
edizione. Per la prima volta, tuttavia, il nuovo manuale includerà, insieme ai disturbi da uso di sostanze, anche il disturbo da gioco d'azzardo. Nelle precedenti edizioni del DSM "gioco
d'azzardo patologico" era classificato come un disturbo del controllo degli impulsi .
Che si possa essere dipendenti da un comportamento come il gioco d'azzardo allo stesso modo in cui si può essere dipendenti da una sostanza rimane però una questione molto
controversa. L'APA ha basato la sua decisione, almeno in parte, su dati recenti secondo
cui nelle persone che sono dipendenti dal gioco d'azzardo il cervello cambia in modo simile a quello dei tossicodipendenti, e che sia tossicodipendenti sia giocatori d'azzardo patologici
traggono beneficio dalla terapia di gruppo e da una graduale disassuefazione. Un'altra dipendenza comportamentale, il disturbo da gioco su Internet, verrà incluso nella sezione 3, che è
riservata alle condizioni che richiedono ulteriori ricerche prima di essere formalmente considerate disturbi. L'ipotizzata “ipersessualità”, che molti hanno considerato come come un altro
nome per la dipendenza dal sesso, è stata invece respinta dai curatori del nuovo manuale.
Capricci o malattia?
Le fluttuazioni anormalmente intense e frequenti dell'umore – che oscilla da uno stato di esaltazione e agitazione a una profonda depressione – sono caratteristiche del disturbo
bipolare (precedentemente conosciuto come malattia maniaco-depressiva). Per la maggior parte dell'esistenza del DSM, il disturbo bipolare è stato considerato in primo luogo una malattia
dell'età adulta, anche se a volte fa il suo esordio nell'adolescenza. Negli ultimi due decenni, tuttavia, sempre più bambini sono stati diagnosticati come bipolari. E dal 2000 negli Stati
Uniti queste diagnosi pediatriche sono aumentate di almeno quattro volte.
© Rick Gomez/CORBIS
Questa nuova tendenza ha profondamente irritato un ampio segmento della comunità psichiatrica. La maggior parte dei cosiddetti bambini bipolari - alcuni dei quali
hanno assunto farmaci per stabilizzare l'umore e antipsicotici, con gravi effetti collaterali – secondo molti psichiatri non aveva alcuna forma di disturbo bipolare. Probabilmente
soffrivano di una malattia completamente diversa. Invece di oscillare tra mania e depressione, erano irritabili per gran parte del tempo, scoppiando spesso in crisi di rabbia e di
violenza fisica non commisurata all'offesa che li aveva fatti esplodere. Così l'APA ha deciso di creare una nuova fattispecie diagnostica per accogliere questi bambini: disturbo da
disregolazione distruttiva dell'umore. Per soddisfarne i criteri, un bambino tra i sei e i 18 anni deve "presentare irritabilità persistente e frequenti episodi di comportamento esplosivo
per tre o più volte alla settimana per più di un anno".
I critici - come Stuart Kaplan del Penn State College of Medicine, l'assistente sociale e farmacologo Joe Wegmann, e Allen Frances, professore emerito alla Duke University e già a
capo della DSM-IV Task Force – temono però che gli psichiatri confondano la collera con un disturbo mentale e continuino in quella che considerano una tendenza alla sovra-diagnosi e
all'eccessiva medicalizzazione. David Axelson dell'Università di Pittsburgh ha messo alla prova i criteri per la disregolazione distruttiva dell'umore del DSM-V applicandoli ai dati
raccolti in vari anni relativi a 706 bambini, e ha concluso che l'introduzione del nuovo disturbo non è
molto utile. In primo luogo, si sovrappone in modo confuso – rendendo spesso difficile la distinzione – a due diagnosi già accettate: il disturbo oppositivo provocatorio e il disturbo
della condotta. Inoltre, la diagnosi di disregolazione distruttiva dell'umore durante l'infanzia non si è dimostrata un buon predittore di futuri problemi di salute mentale, in
particolare di depressione e ansia. Molti osservatori avevano sperato che questa ricerca, pubblicata alla fine del 2012, avrebbe fatto cambiare idea all'APA, ma la commissione ha deciso
di mantenere il nuovo disturbo nel DSM-V.
FONTE: http://www.lescienze.it/news/2013/02/02/news/la_nuova_edizione_della_bibbia_della_psichiatria_il_dsm-5-1489636/
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