DIPENDENZA AFFETTIVA E TRAUMA RELAZIONALE: IL RUOLO DELLA DISREGOLAZIONE EMOTIVA

Scritto da: Annalisa Barbier

 

 

Nell’ambito delle problematiche relazionali possiamo certamente comprendere tutti quei comportamenti disfunzionali legati alle dinamiche di dipendenza ed al vissuto di abbandono e deprivazione emotiva, fino a giungere alla configurazione del quadro di dipendenza affettiva.

Uno studio condotto  dal dottor Maurizio Stavola (CLICCA QUI PER IL TESTO COMPLETO) mostra come, tra i fattori predisponenti a sviluppare dipendenza affettiva, vi siano quelli derivanti da pregressi traumi relazionali (abbandono, abuso, deprivazione emotiva): dissociazione e disregolazione emotiva.  

 

  1. La dissociazione è un fenomeno psichico che consiste nella disconnessione tra alcuni  processi psichici rispetto al restante sistema psicologico che costruisce il senso di coerenza ed integrità dell’individuo. Nella dissociazione c’è una mancanza di connessione nel pensiero, nella memoria e nel senso di identità di una persona. Fenomeni dissociativi possono occorrere spesso nella vita quotidiana senza tuttavia rappresentare un aspetto patologico: ciò accade ad esempio quando, guidando lungo un tragitto familiare in modo automatico, ci si rende conto di non ricordare di aver percorso gli ultimi chilometri  poiché la mente era “altrove”, presa dai pensieri mentre si guidava. Una dissociazione più grave e cronica è il disturbo dissociativo dell’identità, precedentemente chiamato disturbo di personalità multipla insieme ad altri disturbi dissociativi, nei quali alcuni aspetti della vita quotidiana vengono “dissociati” dal resto delle percezioni e dimenticati, o vissuti come da estranei.
  1. La disregolazione emotiva non indica solamente le difficoltà di il controllo delle emozioni, ma indica:
  • incapacità di tollerare affetti negativi (noia, vuoto, perdita, angoscia, depressione, irritabilità, rabbia) intensi e/o prolungati
  • incapacità di controbilanciarli con un’emotività positiva in modo autonomo (autoconsolazione, valutazione di alternative, autocontenimento) e cioè senza ricorrere ad oggetti/persone esterne o acting-out, in cui le emozioni spiacevoli non vengono elaborate ma direttamente agite all’esterno attraverso comportamenti disfunzionali (desideri suicidi, automutilazioni, uso/abuso di sostanze, somatizzazione, disturbi dell'alimentazione, disorganizzazione comportamentale, dipendenze comportamentali o da sostanze)

Ad avvalorare l’ipotesi eziopatogenetica della dipendenza affettiva, che vede nel  pregresso trauma relazionale l’elemento correlato al manifestarsi di un disturbo dissociativo, di problematiche di disregolazione emotiva e di uno stile di attaccamento insicuro ansioso (caratteristiche comuni nei soggetti affetti da dipendenza affettiva) è a mio avviso importante un recente studio di Teicher, M.H. et al., (Childhood maltreatment: altered network centrality of cingulate, precuneus, temporal pole and insula. Biological Psychiatry. 76(4):297-305, 2014).

 

I risultati di questo interessante studio, condotto su un campione di 265 soggetti ambosessi dai 18 ai 25 anni di età (di cui 142 classificati maltrattati e 123 non maltrattati in base ai risultati delle approfondite interviste eseguite), evidenzia nei soggetti risultanti “maltrattati” (abuso sessuale o fisico, maltrattamenti fisici, deprivazione emotiva), alterazioni cerebrali delle aree deputate a mediare la percezione e la regolazione delle emozioni e dei bisogni: in particolare l’insula anteriore destra (coinvolta nei processi di integrazione e coordinamento della consapevolezza degli stati emozionali e di bisogno interiori) ed l’area del cingolo anteriore sinistro, che collabora nella regolazione delle emozioni e degli impulsi.

 

Questo studio a mio avviso conferma il ruolo eziopatogenetico del pregresso trauma infantile nella formazione di disturbi della regolazione delle emozioni, a loro volta altamente rappresentati nei soggetti affetti da dipendenza affettiva.

 

Queste difficoltà nella regolazione autonoma e matura dei vissuti emotivi, verosimilmente responsabili della tendenza, presente nelle persone che mostrano dipendenza affettiva, ad avere bisogno dell’altro per le funzioni suppletive di regolazione esterna che gli vengono attribuite, poiché il soggetto non è in grado di svolgerle autonomamente:

1)    distrazione dal dolore collegato al vissuto interiore di vuoto, indegnità o paura di essere abbandonati a se stessi

2)    contenimento emotivo, in cui l’altro aiuta a contenere l’angoscia e la paura profonda che originano da un disturbo nella percezione de sé, da un senso di vuoto interiore, dal timore dell’abbandono, ecc.

3)    dose di emozione piacevole/emozione forte, che è in grado - da sola – di distogliere dagli affetti interiori intollerabili (per approfondire il concetto di "dose"  legato alla dipendenza affettiva, leggere A. Giddens: "La trasformazione dell'intimità", ed. Il Mulino)

 

E’ come se la persona, invece che consolarsi autonomamente attraverso la capacità di riconoscere, tollerare ed elaborare le emozioni intense, ricorresse all’altro NON TANTO IN QUANTO ALTRO-CUI-COMUNICARE le proprie emozioni nel tentativo funzionale di condividerle e manifestarle in modo utile, ma piuttosto L'ALTRO COME STRUMENTO per alleviare o distrarre da un’affettività interiore dolorosa e vissuta come annientante.

Certamente molto c’è ancora da comprendere e studiare in materia, ma è innegabile il ruolo della disregolazione emotiva all’interno degli schemi comportamentali e cognitivi tipici della dipendenza affettiva, che sono inoltre responsabili del mantenimento di tali comportamenti relazionali disfunzionali.

 

Articoli correlati: COS'È' LA DIPENDENZA AFFETTIVA;  DIPENDENZA AFFETTIVA E ABBANDONO; ASPETTI SOCIALI DELLA DIPENDENZA AFFETTIVA; 

 

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Commenti: 7
  • #1

    Bea (mercoledì, 09 dicembre 2015 16:58)

    Mi ci riconosco... sono io, anzi ero io. Prima di arrivare in fondo a 20 mesi di psicoterapia. Ancora io non ho ben capito come sia successo in quei mesi, ma ad un certo punto ho cominciato da un lato a fare quello che prima non sapevo fare e dall'altro a ritrovarmi molto meno in situazioni in cui sentissi di "non esistere" (o forse reagisco ora così velocemente e con un nuovo automatismo tanto da non rendermi conto delle mie contromisure?). E' pur vero che ho smesso di rincorrere proprio chi aveva solo briciole di attenzione/ascolto/presenza da offrire, ho smesso di cercare di cambiare certe persone (a partire dai miei genitori) e ho cominciato a prendere le distanze e a scegliere diversamente chi frequentare.
    Che strano, ora leggendo queste righe da un lato mi riconosco, dall'altro mi sembra un'altra vita... e quando vedo qualcuno nelle condizioni in cui ero io, in particolare qualche amica che ho conservato, avrei tanto da dire, ma sento il salto enorme tra me e loro, cognitivo ed emotivo... Non saprei davvero come aiutarle, perché non so bene ancora come sono arrivata a quella che è la mia nuova normalità. Posso dire giusto che ho avuto voglia di capire e cambiare qualcosa di me, ho chiesto un primo consulto, sono andata avanti con fiducia anche quando non capivo il senso di certi discorsi tra me e la terapeuta. Mi sono fidata. E per di più di una donna, io che ero stata tanto ferita proprio da una donna, mia madre. Che dire, dottoressa, continuo a leggere con interesse articoli come il suo... penso ci sia sempre qualcosa di utile da capire o ricordare e che quello che facciamo dentro di noi sia un viaggio bellissimo. Vorrei lasciare una testimonianza e un messaggio: sì, c'è qualcosa di danneggiato, qualcosa che si è rotto, ma non è irreparabile. Solo che da sole non si può fare... e quindi una volta accettato che il problema è in noi, ci si faccia forza pensando che siamo sempre noi a tenere in mano le chiavi della gabbia: occorre solo che ci affidiamo a qualcuno che ce le faccia vedere e ci faccia vedere come usarle. Fatica e tempo, ma un giorno si arriva là dentro noi stessi e non è più un posto vuoto e freddo, incolore. Tutt'altro proprio... è come uscire da una galleria e rivedere il sole, sentirlo sulla pelle, ammirare i campi verdi e il cielo azzurro. Non saprei come altro spiegare questa sensazione di scoperta e rinascita interiore, anche di potenza e vitalità. Penso che lei faccia uno dei mestieri più belli del mondo dottoressa... sapete ridare luce e vita a chi l'aveva persa per strada. Grazie.

  • #2

    Annalisa Barbier (mercoledì, 09 dicembre 2015 21:07)

    Carissima Bea,
    spero davvero che tutte le donne che stanno attraversando ciò che tu hai conosciuto e integrato, superandolo, capiscano che si può davvero uscire da certi schemi! occorre la consapevolezza della propria condizione, e due elementi cui ogni essere umano non deve rinunciare: fede e fiducia. In se stessi e soprattutto all'inizio, in chi può aiutarti.
    Grazie di cuore per la tua preziosa testimonianza, che vorrei condividere sulla mia pagina di Facebook.
    Un caro saluto e tanta felicità!
    Annalisa

  • #3

    Elvira (giovedì, 14 luglio 2016 11:16)

    Il cervello si modifica. Basti vedere l'evoluzione della corteccia cerebrale. Credo che in un nesso di causalità sia il trauma a causare le modificazioni cerebrali dimostrate empiricamente. E tutto il resto....danni collaterali, effetti, conseguenze. Piu mi informo e più mi dico oltre il danno la beffa.

  • #4

    Liliana (mercoledì, 18 aprile 2018 17:15)

    Buongiorno Dottoressa,

    Due anni fa ho concluso una terapia per superare la dipendenza affettiva. Dopo essere riuscita ad allontanarmi io stessa dalla persona causa della dipendenza e a trovare un compagno con cui costruire un rapporto maturo e soddisfacente. Nonostante l'allontanamento a questa persona avendo una passione in comune ci siamo sempre "rivisti" senza mai ricadere nel precedente rapporto. Ultimamente, dopo due anni, sento riemergere quella parte di me più fragile che non so come "combattere". Non intendo tradire il mio partner ma mi rendo conto che siano riemersi in breve tempo una serie di pensieri ossessivi verso questa persona ed è come se quando mi ritrovo con lui presente, mi dissoci dal mio "normale" comportamento e questa parte di me prenda il sopravvento. Devo per forza rinunciare a un progetto per me gratificante riguardo la mia passione pur di non rivederlo o può essere un momento "superabile" con alcuni accorgimenti? Non voglio né tradire né perdere il mio compagno per nessun motivo ma solo avere certi pensieri nei suoi confronti, dopo quello che ho passato e dopo essere riuscita a uscirne mi spaventa.

    In più durante la terapia non è mai uscito nulla che possa aver scatenato questa parte di me nell'infanzia, nonostante io sia stata aperta e sincera su ogni ricordo e abbia parlato anche di altre cose legate agli uomini. Esistono altri fattori scatenanti noti? Dovrei riprendere una nuova terapia per scoprirne di più ed evitare questo tipo di ricadute che potrebbero sabotare un rapporto sano, che desidero e che sono riuscita a pensare di meritare?

    Grazie e complimenti.

  • #5

    Annalisa (giovedì, 19 aprile 2018 15:08)

    Gentile Liliana grazie innanzitutto per i complimenti. La ragione per cui spesso si suggerisce un no contact con l'ex partner, quando possibile, sta appunto nel rischio di ricadute, legate a fattori sia personali più o meno consapevoli, sia di natura relazionale ossia legati a dinamiche interpersonali con la persona in questione. Non so in che rapporti attualmente siate, né come si comporta il suo ex partner nelle situazioni in cui vi incontrate ma posso suggerirle di chiedersi innanzitutto quale sia e in cosa consiste quella che lei stessa definisce come la sua "parte fragile". In che modo la spinge e la influenza? Oppure nella sua vitta di coppia attuale manca qualcosa o qualcosa non va? Forse sente la spinta a ricercare stimoli ed emozioni nuove? Riprendere la terapia potrebbe essere una buona idea in questo momento, per approfondire un lavoro di conoscenza di sé che aveva dato già buoni frutti. Nel frattempo, si mantenga osservatrice e se non ha le idee chiare, non agisca e non si metta in situazioni delle quali potrebbe soffrire.
    Un caro saluto
    AB

  • #6

    Valeria (giovedì, 26 aprile 2018 23:33)

    Salve Dottoressa,

    Sono purtroppo una dipendente affettiva con un vissuto particolarmente negativo, legato alla figura di riferimento maschile che è mio padre. Attualmente ho un partner con cui comincio a ripetere lo stesso schema, so quanto siano dannosi certi comportamenti ma purtroppo non riesco ad abbandonarli, sono tormentata dal senso di colpa e dalla vergogna per non riuscire a godermi serenamente la relazione. Il mio partner non asseconda le mie continue richieste, o perlomeno non del tutto, spiegandomi che dovrei rispettare maggiormente la sua vita. Suppongo faccia benissimo a non darmi corda, in modo da non alimentare questa mia dipendenza, ma vorrei un parere esperto. Sono in terapia da un anno e mezzo per via di un disturbo dell'umore e non sempre le sedute sono focalizzate su questo argomento. Vorrei inoltre chiederle quali sono i primi passi da fare per cercare di venirne fuori, delle soluzioni "base", che prescindano dalla psicoterapia e che potrei cominciare a mettere in atto, sempre se ve ne siano.
    La ringrazio anticipatamente.

  • #7

    Annalisa (venerdì, 27 aprile 2018 07:34)

    Cara Valeria,
    se è già i terapia dovrebbe chiedere chiaramente al professionista che la sta seguendo come muoversi e come fare qualche graduale cambiamento nel comportamento per non cadere negli stessi schemi automatici legati al suo vissuto e alla relazione. Deve parlare della sua modalità di vivere il rapporto, condividendo paure, stati d'animo e comportamento che le creano problemi o ne creano alla relazione. Intanto, posso darle alcuni suggerimenti: si focalizzi su di sé, si domandi cosa sente,, cosa prova in certe circostanze, cerchi di essere presente a se stessa e consapevole di ciò che la spinge e la muove; arricchisca la sua vita facendo ciò che le interessa e le piace; impari a non agire eventuali comportamenti di controllo e richiesta di rassicurazione nei confronti del partner,. In generale, impari a restare in contatto con se stessa, con i suoi bisogni, stati d'animo, timori e desideri. Ma le ripeto, la cosa migliore è che lei ne parli con il/la terapeuta che la segue perché la conosce e saprà certamente aiutarla.
    Le suggerisco di leggere questo articolo: https://www.psicoterapiapersona.it/2018/02/26/dipendenza-affettiva-perché-ripeto-sempre-lo-stesso-schema-nella-relazione/