Le maschere ci proteggono dal dolore?
Scritto da: Annalisa Barbier
In questo breve articolo, vorrei condividere con voi una bellissima metafora che spiega come ognuno di noi si trovi a subire delle ferite dolorose durante la sua crescita ed evoluzione e di come, nel tentativo di negare questa sofferenza, tenda a mettersi delle maschere che, purtroppo, non fanno che accentuare tale sofferenza, portandoci ancora ed ancora a riviverla nella nostra vita.
Perché?
Inevitabilmente, durante il nostro percorso di crescita, maturazione ed evoluzione, ci troviamo ad affrontare alcune ferite molto dolorose per noi: RIFIUTO, ABBANDONO, UMILIAZIONE, TRADIMENTO E INGIUSTIZIA.
Si tratta di esperienze dolorose che molti di noi debbono affrontare nella loro vita, a volte ripetutamente, finché non diventiamo capaci di accettare i nostri limiti, le nostre attitudini, il nostro particolare e unico modo di essere e di sentire.
Quando cresciamo, poiché è naturale per ogni essere vivente evitare la sofferenza, cerchiamo di non vedere queste ferite, di negarne l’esistenza poiché essa è fonte di un dolore che non vogliamo sentire.
Per fare questo, ci mettiamo delle maschere, cioè assumiamo atteggiamenti rigidi e disfunzionali il cui scopo è quello di proteggerci dalla sofferenza, di allontanarci a tutti i costi da essa, donandoci l’illusione di essere forti e resistenti, di avere il controllo, di poter fare a meno di sentire quel dolore.
La metafora
Ed ecco la bellissima metafora che ho letto: queste maschere sono come un cerotto, che mettiamo su di una ferita che rimane sempre aperta e dolorante, sulla nostra mano. Ogni volta che qualcuno ci stringerà la mano o la toccherà o la prenderà per accarezzarla, noi sentiremo solo un grande dolore. Questo dolore non sempre dipenderà dall’intenzione dell’altro quanto piuttosto dal fatto che la nostra ferita è ancora lì, aperta, soltanto coperta da un cerotto…
CONCLUSIONI
Questa strategia può funzionare dunque nel medio termine, ma nel lungo termine ci renderà rigidi ed incapaci di adattarci agli eventi e alle relazioni, ipersensibili ed iperreattivi a certe situazioni, ci impedirà di accogliere nella nostra vita - e finalmente elaborare - la sofferenza che non vogliamo affrontare, per far guarire la nostra ferita.
Questa elaborazione è di grande importanza poiché ci mette nella condizione di poter superare certi schemi disfunzionali, e di poter vivere concedendoci di essere pienamente ciò che siamo, con i nostri pregi e difetti e con le nostre fragilità, ma anche esprimendo la nostra natura consapevole e la nostra forza interiore. Ci permette anche di andare davvero verso l’Altro, per come è e non per come pretendiamo o sogniamo che sia.
A questo punto è importante sottolineare che il concetto di forza interiore non ha nulla a che vedere con la resistenza, l’opposizione, la non accettazione dell’altro, l’aggressività o la capacità di combattere contro dolore e sofferenza; si tratta piuttosto di una forza profonda e solida che ci permette di essere davvero noi stessi … una capacità che ognuno di noi possiede e che permette – se coltivata e lasciata emergere – di accogliere la vita nella pienezza del suo flusso e nella molteplicità delle sue manifestazioni anche quando non ci piacciono, o non le approviamo. Ci permette di vivere senza dover combattere contro tutto ciò che non desideriamo ma semplicemente accettando che la vita a volte è anche timore, preoccupazione, tristezza, mancanza, errori.
Si tratta in fondo della capacità di accogliere la vita e di realizzare le nostre potenzialità nonostante paura, dolore, delusione. E’ un obiettivo molto ambizioso e di non facile realizzazione, ma davvero importante per la crescita e la realizzazione di ognuno di noi.
Per saperne di più consiglio di leggere: “Le 5 ferite e come guarirle”, di Lise Bourbeau
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