LA PRESENZA MENTALE E LA CONOSCENZA DI SE

Scritto da: Annalisa Barbier 

 

Il costrutto di “mindfulness”, traducibile anche come consapevolezza, è un concetto che ha guadagnato sempre più attenzione negli ultimi decenni, fino a diventare un importante pilastro su cui costruire le basi del benessere psicologico e spirituale. Il crescente richiamo all’acquisizione della consapevolezza, in termini psicologici e spirituali ci invita a coltivare, e allo stesso tempo ha sdoganato e rende possibile, il riferimento ad una Concettualizzazione dell’individuo nei termini di una visione unitaria dell’essere umano: non più solamente complesso insieme di distinguibili e nominabili modalità di funzionamento psicofisiologico, ma misteriosa e complessa unità che anela alla completezza, alla conoscenza “sentita” di sé e delle esperienze e all’unione con il proprio profondo desiderio e bisogno di connessione con l’esistenza tutta e con il resto del creato. In un certo senso dunque, stimolando costantemente la psicologia ad aprirsi al territorio - vasto e difficilmente sondabile con i soli strumenti della scienza psicologica -  dello spirito, del mistero, del profondo senso di sé. Ma cosa significa veramente essere consapevoli? E perché è così importante nel contesto della vita moderna?

Il termine “consapevolezza” è spesso associato alla parola inglese "mindfulness", che può essere spiegata come la capacità di essere pienamente e volontariamente presenti nel momento attuale, con una qualità non giudicante ed accettante delle cose così come sono: pensieri, emozioni, sensazioni fisiche. È un processo di auto-riflessione che ci permette di osservare il nostro mente-corpo senza giudizio, senza opposizione o avversione, ma piuttosto coltivando quell’atteggiamento aperto, curioso e gentile nei confronti dell’esperienza (esterna ed interna) che rende possibile la “disidentificazione” e creando spaziosità tra l’esperienza stessa e la nostra reazione ad essa. Questa disidentificazione e costruzione di uno spazio di osservazione, è facilmente comprensibile se osserviamo il comune fenomeno del dolore fisico e ci accorgiamo che possiamo “scomporlo” in tre componenti principali:

  1. la sensazione somatica che definiamo “dolore”  o “fastidio”
  2. le nostre interpretazioni cognitive ad esso (ciò che la mente ci dice in merito al dolore e alle sue conseguenze);
  3. Le risposte ed emotive ad essa: frustrazione, preoccupazione, paura, o altre…

Faccio un esempio che possa aiutarci a comprendere meglio: immaginiamo di dover uscire per affrontare una giornata impegnativa e di accorgerci che ci fa male la schiena: al di là della sensazione “nuda” del dolore o del fastidio fisico, possiamo accorgerci - se prestiamo attenzione -  del fatto che la nostra mente sta avviando una serie di pensieri, riflessioni e giudizi su questa condizione: probabilmente penseremo “oh no di nuovo! Non ne posso più”, oppure “come farò oggi a fare tutto ciò che ho in programma se ho questo dolore?”, o ancora “è stata colpa dell’allenamento di ieri… esagero sempre…” e così via con mille diverse sfumature. Sicuramente a questo punto, la nostra reazione emotiva sarà di frustrazione, o rabbia, oppure di  tristezza, preoccupazione o senso di inadeguatezza… e così via a seconda di ciò che pensiamo e del contesto in cui ci troviamo a sperimentare il nostro mal di schiena.

A questo punto, creare uno spazio di disidentificazione consapevole da ciò che pensiamo e proviamo rispetto all’esperienza del dolore fisico, può aiutarci a diventare meno rigidi verso l’esperienza stessa, accogliendola per ciò che è e rinunciando a farci tirare dentro nella spirale di pensieri negativi di avversione, preoccupazione o impotenza che la mente costruisce attorno all’esperienza del dolore o del fastidio. Spirale che inevitabilmente non ci aiuta ma piuttosto aumenta il nostro malessere. Così, magari decidiamo a questo punto di cambiare i nostri programmi, assumere un farmaco adatto o semplicemente - con un atto volontario di autocompassione e accettazione -  ci prepariamo ad affrontare la giornata come meglio possiamo, insieme al nostro acciacco!

 

ORIGINI

Le radici delle tecniche per coltivare la consapevolezza affondano nelle fertili terre delle tradizioni spirituali orientali, in particolare nel buddismo, dove la pratica della meditazione è vista come un mezzo per raggiungere la conoscenza e l’illuminazione. Negli ultimi decenni tuttavia, il costrutto di Mindfulness e consapevolezza è stato felicemente e fruttuosamente integrato nella psicologia occidentale, grazie anche al lavoro di pionieri come Jon Kabat-Zinn che, grazie alla personale esperienza di meditazione, negli anni Settanta ha sviluppato il programma di riduzione dello stress basato sulla mindfulness (MBSR).

 

I SETTE PILASTI DELLA MINDFULNESS

La presenza mentale va coltivata con costanza attraverso le pratiche di mindfulness, poiché spontaneamente tendiamo a vivere con una mente che pendola continuamente tra il ricordo del passato e le preoccupazioni sul futuro, e difficilmente ci ricordiamo che in realtà l’unico momento che possiamo davvero vivere è l’adesso. Così come è, nel bene e nel male. Questo ci permette gradualmente di imparare a smettere di combattere o criticarci ferocemente per qualcosa che ormai non c’è più (il passato), o preoccuparci intensamente per qualcosa che ancora non si è verificata (e che forse nemmeno si verificherà). Ci insegna a capire cosa possiamo fare ORA, quali azioni costruttive e utili possiamo mettere in atto ORA. È “un’arte” che ritorna gradualmente nelle nostre vite, ce ne accorgiamo quasi “per caso” nella vita quotidiana, non è un’abilità che si può apprendere una volta per tutte. Va curata, praticata, annaffiata quotidianamente. Mettersi a praticare con l’aspettativa di riceverne un vantaggio immediato non è consigliabile, poiché sposterebbe sempre la nostra mente sulle aspettative e sui risultati invece che sul processo e la sua osservazione.

Nella pratica di Mindfulness, il giusto atteggiamento è di fondamentale importanza perché ci guida e ci aiuta a sviluppare in modo corretto la capacità di consapevolezza. 

Jon Kabat-Zinn ha denominato e ordinato questi atteggiamenti mentali, come “i sette pilastri della mindfulness”:

  1. Mente del principiante:Approcciare ogni momento con una mente fresca, come uno scienziato che per la prima volta sperimenta e si approccia a conoscere un fenomeno: un pensiero, un’emozione, una sensazione... Questo atteggiamento aiuta a vedere le cose in modo più chiaro, senza rimanere prigionieri di condizionamenti e preconcetti.
  2. Accettazione: Accettare la realtà del momento presente così com'è, senza resisterle o attaccarsi al desiderio che sia diversa. L'accettazione non significa rassegnazione, piuttosto ci invita ad approcciare il momento presente esattamente come si presenta, riconoscendo ciò che è, momento dopo momento. Questo è il vero punto di partenza per qualsiasi azione di cambiamento che sia possibile attuare: esterno, relazionale o interno.
  3. Lasciar andare: Liberarsi dall'attaccamento al risultato, dalle aspettative, permettendo alle esperienze di venire e andare senza aggrapparsi a esse. Questo pilastro incoraggia il distacco dalle emozioni e dai pensieri, osservandoli senza identificarvisi.
  4. Non-giudizio: praticare il non-giudizio significa imparare ad osservare ciò che accade nel momento presente senza giudicarlo; si tratta di osservare e riconoscere i pensieri che attraversano la nostra mente, le emozioni e le esperienze interiori senza etichettarle come “buone” o “cattive” (o meglio, accorgendoci che la nostra mente le sta etichettando e lasciando andare queste etichette, andando al di là di esse, nella nuda esperienza) e semplicemente lasciando che siano ciò che sono;
  5. Pazienza: Coltivare la pazienza significa comprendere ed accettare che tutto matura a suo tempo, e che forzare le cose  - i sentimenti, o le persone - non è un atteggiamento costruttivo.  La pazienza richiede di essere presenti senza cercare di accelerare o forzare gli eventi, ma accogliendoli e ponendosi nella condizione più saggia per andare avanti. Ciò significa anche comprendere che non serve irritarci quando la mente divaga, né è costruttivo giudicare costantemente se stiamo facendo bene e se stiamo raggiungendo un risultato. Pazienza significa accettare che siamo umani, imperfetti, che molto spesso le cose non dipendono da noi; significa restare tenaci e focalizzati attraverso le difficoltà, fiduciosi e sereni senza lasciarci prendere dalla smania di vedere subito i risultati desiderati, o ottenere subito ciò che vogliamo. Seguita spesso da una resa stizzita o rassegnata.
  6. Non cercare risultati: Il concetto di "non cercare risultati" nella pratica della Mindfulness è centrale per comprendere il vero scopo di questa disciplina. Solitamente, nella vita quotidiana, siamo orientati verso il raggiungimento di obiettivi specifici e misurabili, ma applicare questo approccio alla Mindfulness può essere controproducente. La Mindfulness ci invita a vivere il momento presente con piena consapevolezza, senza giudizio e senza l’aspettativa di ottenere qualcosa in cambio; dunque, quando pratichiamo con l'intento di ottenere risultati specifici - ad esempio quello di ridurre lo stress o migliorare il benessere -  rischiamo di perdere il contatto con l'essenza della pratica stessa. Questo perché fissarsi sugli obiettivi può creare frustrazione se i risultati non arrivano come previsto, generando in noi l'idea che il nostro stato attuale non sia adeguato o non stiamo facendo abbastanza. Invece, il vero spirito della Mindfulness risiede nell’accettazione di ciò che è, momento per momento: non si tratta di raggiungere una meta ma di essere presenti nel qui e ora, accettando la realtà così com’è, senza la pressione di cambiare o migliorare qualcosa. Paradossalmente, è proprio questo approccio di non ricerca di risultati che, con il tempo, porterà cambiamenti positivi e a una maggiore serenità interiore. La pratica regolare e paziente della consapevolezza ci aiuta a sviluppare una relazione più equilibrata con noi stessi e con il mondo, dove il valore risiede nell'essere piuttosto che nel fare o nell'ottenere. In sintesi, non cercare risultati nella Mindfulness significa abbracciare la pratica come un mezzo per essere pienamente presenti e accettare la vita come si manifesta, senza l'ansia di raggiungere uno stato ideale o un risultato particolare.
  7. Fiducia: La fiducia è una qualità fondamentale per il benessere personale e la realizzazione nella vita; quando parliamo di fiducia, ci riferiamo alla capacità di credere in noi stessi, nelle nostre decisioni e nella nostra capacità di affrontare e superare le sfide che la vita ci presenta. Questa fiducia interiore è ciò che ci permette di navigare attraverso situazioni difficili senza lasciarci sopraffare dalla paura o dall'incertezza. Sviluppare la fiducia in noi stessi significa imparare a fare affidamento sulla nostra intuizione, riconoscendo il nostro valore e le nostre capacità. Questa fiducia ci aiuta a raggiungere i nostri obiettivi, ci permette di vivere una vita più piena e significativa, di sentirci a nostro agio nell'esprimere chi siamo veramente e nel perseguire ciò che desideriamo davvero. Inoltre, avere fiducia in noi stessi ci permette di  imparare dagli errori e di vedere i fallimenti come opportunità di crescita e apprendimento.

 

BENEFICI DELLA PRATICA

I benefici del coltivare la capacità di essere presenti e pienamente consapevoli dell’esperienza del momento che viviamo, sono numerosi e documentati da un vasto corpus di ricerche scientifiche. In sintesi ecco di seguito indicati alcuni dei benefici principali del praticare le tecniche che ci aiutano a coltivare la consapevolezza:

 

1. Riduzione dello Stress:La pratica regolare della meditazione di consapevolezza aiuta a ridurre i livelli di stress percepito, migliorando la nostra capacità di rispondere in modo adattivo e funzionale  alle situazioni difficili.

   

2. Miglioramento della Salute Mentale: È stato dimostrato che la disidentificazione dai propri contenuti mentali promossa dalla meditazione di consapevolezza,  può ridurre i sintomi di depressione e ansia, aumentando il benessere generale, e ridurre anche il rischio di ricadute. Inoltre, disidentificarci  dai nostri contenuti mentali e dalle esperienze emotive che ci attraversano, ci permette di osservarle con una sorta di attenta compassione, di vedere quali sono i temi interiori che ci provocano sofferenza, gli schemi che ripetiamo inconsapevolmente e che minano la nostra serenità, la nostra capacità di rimanere elastici e flessibili nell’attraversare le esperienze della vita. 

 

3. Aumento della Concentrazione: le pratiche di consapevolezza sono simili ad un vero e proprio training attentivo e ci permettono di migliorare la nostra capacità di attenzione e concentrazione, con benefici sullo studio, il lavoro e le relazioni interpersonali e interne.

 

4. Benessere fisico: coltivare la capacità della presenza mentale, la volontà di tornare ad essere pienamente consapevoli del momento presente così come è, può contribuire alla riduzione dei sintomi fisici legati allo stress come l’ipertensione, o i disturbi del sonno.

 

PRATICHE DI CONSAPEVOLEZZA 

Esistono davvero numerosissime pratiche che ci possono aiutare a coltivare la consapevolezza. In questa sede, mi limiterò a indicare sinteticamente le più diffuse, in particolare nell’ambito dei protocolli di mindfulness.

In generale, le pratiche più comuni che ci aiutano a coltivare la consapevolezza sono le seguenti:

 

  1. Meditazione di consapevolezza del respiro: Sedersi in silenzio, in una posizione comoda e vigile e concentrare l’attenzione sul respiro, è una delle forme più semplici e efficaci di meditazione. Tuttavia non è facile: occorre infatti armarsi di pazienza e attenzione per accorgerci di tutte le innumerevoli volte in cui la mente si allontana dall’osservazione del respiro,  per andare di qua e di là, cercando di prevedere, risolvere, giudicare, ricordare…
  2. Yoga: Questa pratica mente-corpo, che si dirama in numerosi e diversi stili, in generale combina il movimento fisico con la consapevolezza del respiro e del corpo, promuovendo l’allineamento e la costruzione del senso di unità mente-corpo.
  3. Esercizi di respirazione consapevole: esistono diverse tipologie di esercizi di respirazione consapevole, molti dei quali mutuati dalle tecniche orientali di Pranayama. Sono esercizi di durata variabile, anche molto brevi (3-5 respiri) e che, in linea di massima, possono essere praticati ovunque e in qualsiasi momento. Questi esercizi possono avere diverse finalità, e molti di essi sono dei veri e propri inattesi “toccasana”, in grado di riequilibrare il nostro sistema nervoso, calmando e regolando il grado di attivazione di mente e corpo.
  4. Camminata consapevole: Camminare lentamente, concentrandosi su ogni passo e su ogni sensazione che proviene dalla pianta dei piedi, dalle gambe, dal corpo tutto, oppure sull’ambiente circostante, sulle sensazioni e i pensieri che evoca in noi, è un modo efficace e molto piacevole di praticare la consapevolezza nella vita quotidiana. 

 

Mentre le quattro pratiche formali della Mindfulness sono le seguenti:

  1. Body scan (scansione consapevole del corpo)
  2. Meditazione seduta o sitting meditation
  3. Mindful movement oppure yoga
  4. Meditazione camminata o walking meditation 

 

A queste si aggiungono le pratiche informali di consapevolezza, ossia delle pratiche in cui ci si impegna a portare pienamente l’attenzione e l’osservazione non giudicante nel momento presente, ogni volta che svolgiamo un compito quotidiano come ad esempio mangiare, lavarci i denti, metterci la crema, fare la doccia, cucinare ecc…

 

IN CONCLUSIONE

Coltivare la consapevolezza può essere utile in vari ambiti della vita quotidiana: nel lavoro, ad esempio, può migliorare la produttività e le relazioni interpersonali, riducendo il rischio di burnout; nella vita personale può arricchire le nostre relazioni di sfumature prima inconsapevoli, favorendo una comunicazione più empatica, comprensiva e meno giudicante; Nel rapporto con noi stessi può aiutarci a diventare consapevoli del nostro funzionamento interno automatico (“il cosiddetto “pilota automatico”), del modo in cui esso influisce sul nostro benessere, aiutandoci gradualmente a diventare un po’ più  liberi dai nostri automatismi, a non lasciarci sopraffare dalle ondate delle emozioni, a governare i nostri comportamenti.

Nonostante i numerosi benefici, la pratica della consapevolezza può incontrare diverse sfide:

  • prima di tutto occorre essere costanti, e fiduciosi nel beneficio della pratica. Occorre maturare e portare avanti con impegno l’intenzione di praticare quotidianamente.
  • Inoltre, molti credono erroneamente che essere consapevoli significhi eliminare i pensieri negativi, le emozioni difficili o raggiungere uno stato di costante calma e felicità. In realtà, coltivare l’atteggiamento di presenza mentale ha più a che vedere con la capacità di accettazione di ciò che si presenta nel momento presente: emozioni difficili, pensieri spiacevoli o indesiderati, passioni o impulsi irrefrenabili, avversioni, attaccamenti…osservare tutto ciò senza giudizio e senza iniziare a combatterlo, può aiutarci a restare lucidi e a governare meglio i nostri comportamenti. 

 

Si tratta di un’abilità e un atteggiamento interiore che vanno coltivati con pazienza, fiducia e costanza nonostante le inevitabili difficoltà. Anzi proprio osservandole e lasciandole essere. Probabilmente, per molti di noi, è un atteggiamento completamente nuovo e controintuitivo nell’affrontare la vita (esterna e interiore), ma per esperienza personale posso affermare che ne vale davvero la pena. In un mondo sempre più frenetico e stressante, la consapevolezza rappresenta un faro di calma e chiarezza, che può condurci verso un benessere profondo e duraturo che non dipende più solamente dall’esterno, ma soprattutto dal nostro atteggiamento interiore. 

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