SONO UN IMPOSTORE?

 

 

Scritto da: Annalisa Barbier

 

La sindrome dell’impostore è il nome comunemente attribuito all’atteggiamento psicologico caratterizzato da un senso persistente di insicurezza e dubbio sulle proprie capacità, nonostante vi siano prove evidenti di successo e competenza. La parola “sindrome” deriva dal greco e significa concorso, affluenza, indicando un insieme di sintomi che caratterizzano una situazione morbosa o una malattia, mentre la parola “impostore” deriva dal latino “imponere” ossia far credere, ed è nella nostra lingua sinonimo di imbroglione, truffatore, ciarlatano.

Le persone che ne soffrono, pur dimostrando nei fatti di possedere qualità e competenze, tendono a sentirsi come se avessero ingannato gli altri sul proprio valore e temono costantemente di essere “scoperte” come fraudolente, in quanto si sentono incapaci o non abbastanza preparate. Questo termine fu coniato per la prima volta dalle psicologhe Pauline Clance e Suzanne Imes nel 1978, che descrissero il fenomeno principalmente presente proprio tra le donne che avevano successo e riconoscimento; ma successivamente è stato evidenziato come anche negli uomini possa presentarsi questo tipo di disagio.

 

Caratteristiche principali

Le persone che soffrono della sindrome dell’impostore, minimizzano o sminuiscono i propri risultati e spesso attribuiscono i successi che ottengono e i loro buoni esiti alla fortuna, o a fattori esterni piuttosto che alla propria abilità e alle proprie competenze. Leggono i propri successi alla luce della profonda convinzione di non essere abbastanza capaci e dunque tendono a credere che gli altri sopravvalutino le loro abilità, vivendo con il costante timore di essere “smascherate”. 

La sindrome dell’impostore può avere un impatto significativo sulla salute mentale; infatti, le persone che ne soffrono possono lasciarsi guidare da sentimenti di inadeguatezza e demerito, colpa o persino vergogna, possono diventare particolarmente critiche e perfezionistiche e sperimentano alti livelli di ansia, stress e a volte depressione. Questi sentimenti influiscono negativamente sul benessere psicofisico dell’individuo, influenzandone il dialogo interno ed i comportamenti, e possono spingere le persone ad avere comportamenti disfunzionali come lavorare troppo o pretendere di fare le cose alla perfezione, al fine di  evitare il fallimento o il timore del giudizio negativo. Questo atteggiamento costante può portare a estrema stanchezza psicofisica, all’incapacità di godere dei propri successi, alla tendenza a considerarsi sempre meno capaci e meritevoli degli altri, costruendo e rinforzando un’immagine di sé negativa e mantenendo intenso il timore del giudizio altrui. Non è raro che, in questi casi, possano comparire comportamenti di evitamento e rinuncia finalizzati a tenere lontano il disagio che nasce dal timore di non essere abbastanza capaci o preparati, o di essere “smascherati”.

 

 

Alla base della sindrome dell’impostore, è possibile identificare alcuni processi cognitivi che caratterizzano e colorano l’atteggiamento psicologico e comportamentale dell’individuo: 

1.   Convinzioni di base  (core beliefs o schemi cognitivi): si tratta di strutture interpretative di base con cui la persona rappresenta se stessa e gli altri ed organizza il suo pensiero e l’interpretazione degli eventi. In altre parole uno schema rappresenta una tendenza stabile ad attribuire un certo significato agli eventi. Tipicamente, chi soffre della sindrome dell’impostore, crede profondamente di non essere all’altezza o di non essere abbastanza capace, e contemporaneamente sviluppa la convinzione di essere brava a nascondere queste incapacità ed incompetenze, ingannando coloro che pensano il contrario. Tali convinzioni profonde vengono vissute dal soggetto come assolutamente vere, e difficilmente vengono messe in discussione spontaneamente.

2.   Distorsioni cognitive: una tipica distorsione del pensiero e delle modalità di interpretazione degli eventi che si riscontra in queste persone è la tendenza ad interpretare in modo distorto i feedback positivi che vengono ricevuti. Tipicamente, di fronte ad un riconoscimento o un complimento, queste persone spesso si dicono di non esserne meritevoli, di non aver fatto abbastanza, di aver “ingannato” l’altro nel ricevere una valutazione positiva. Alla base di questo potrebbe essere proprio la profonda convinzione di non essere abbastanza; dunque tutto ciò che appare in contrasto con questa convinzione (più o meno portata alla consapevolezza) viene sminuito e distorto.

3. Paragone sociale: si manifesta tipicamente attraverso l’abitudine a confrontarsi con gli altri, che appaiono sempre più competenti e capaci, anche quando questo paragone non è basato su criteri oggettivi e su un esame di realtà;

4.  Perfezionismo: il costrutto del perfezionismo rappresenta spesso una modalità di fronteggiamento del senso di inadeguatezza e/o del timore del giudizio o del fallimento. Molti individui con la sindrome dell’impostore coltivano standard irrealistici per sé stessi: si aspettano prestazioni e qualità a volte irrealisticamente elevate e considerano ogni errore commesso come la conferma e la prova della loro presunta incompetenza.

 

La sindrome dell’impostore non è ufficialmente inserita nel DSM-5 (il manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali redatto dall’American Psychiatric Association), tuttavia è un disturbo che può avere conseguenze anche importanti sul benessere e la qualità di vita di chi ne è affetto: il perfezionismo ad esempio, può portare ad una tendenza cronica alla procrastinazione (rinviare continuamente prestazioni e/o compiti da fare per il timore di non farli al meglio), oppure spingere le persone affette a rinunciare ad opportunità di crescita e sviluppo personale e/o professionale; la convinzione di non essere abbastanza capaci o meritevoli, associata al timore di poter essere prima o poi smascherati, può portare allo sviluppo di umore depresso e di sintomi ansiosi, legati a pensieri negativi intensi e ricorrenti.

 

I fattori che contribuiscono allo sviluppo ed al mantenimento degli atteggiamenti cognitivi e comportamentali che caratterizzano la sindrome dell’impostore affondano spesso le radici nelle prime esperienze infantili; infatti, chi ha avuto genitori eccessivamente esigenti, critici o iperprotettivi potrebbe sviluppare un’immagine di sé come di “non abbastanza brav*” , inadeguat* o incapace di cavarsela e di soddisfare le aspettative altrui, e sviluppare una dipendenza dal riconoscimento esterno, alimentando e mantenendo uno schema disfunzionale attraverso dinamiche auto svalutanti e perfezionistiche, di evitamento dei compiti ritenuti impegnativi o persino rinunciando a promozioni ed occasioni di crescita sia personale che professionale.

Anche i fattori legati all’ambiente culturale e sociale di appartenenza influiscono su questo disagio: trovarsi ad esempio a lavorare in ambienti altamente competitivi come il mondo accademico, le professioni altamente specializzate o gli ambienti aziendali possono accentuare la sensazione di non essere abbastanza e il timore di venir smascherati o colti in errore.

Importante è anche il peso della pressione culturale, esercitata attraverso l’imposizione di modelli perfezionistici e di successo, che può influire sullo sviluppo e sul mantenimento di questo fenomeno: molto spesso possiamo notare infatti come tali modelli si allontanino dall’umano e naturale desiderio di accoglimento, connessione e collaborazione, ponendo piuttosto l’accento su dinamiche individualistiche, premiando l’arroganza e la competitività sfrenata, stigmatizzando l’imperfezione e l’errore.

Gli studi suggeriscono che la sindrome dell’impostore è molto comune, mostrando percentuali di prevalenza molto varie a seconda della popolazione studiata. Interessante notare come le persone più colpite sembrino essere proprio quelle che ricoprono ruoli di alto livello o che richiedono elevati standard di performance; questo particolare ci fa riflettere sul fatto che non si tratta di persone realmente inadeguate a svolgere il loro lavoro, ma che vi siano soprattutto la sensazione o la convinzione di non essere abbastanza capaci, alla base del disagio. Uomini e donne sono colpiti in modo relativamente simile, anche se le prime ricerche suggerivano una maggiore incidenza nelle donne.

 

Strategie per gestirla

 

Esistono alcun strategie che possono aiutare a mitigare la sindrome dell’impostore:

1. Esame di realtà e riconoscimento dei propri successi: tenere traccia dei propri risultati e rivederli può aiutare a contrastare l’autosvalutazione costante; 

2. Messa in discussione delle distorsioni cognitive: identificare e correggere i pensieri distorti con affermazioni più realistiche e razionali;

3. Condivisione con altri: parlare apertamente con colleghi o mentori di questo timore, delle proprie preoccupazioni rispetto alle prestazioni, può ridurre il senso di isolamento;

4. Accettare il fallimento: sbagliare non è un fallimento. E’ importante ricordare e riconoscere che gli errori fanno parte del naturale processo di crescita, e dunque concedersi il piacere e il desiderio di esplorare ed imparare cose nuove;

5.   Assumere un atteggiamento gentile e compassionevole verso di sé: ciò può voler dire anche accettare di provare questo disagio, considerando la sofferenza che ne deriva e cercando di fare del nostro meglio per correggere i pensieri distorti attraverso un buon contatto di realtà (soprattutto rileggendo tutto ciò che in passato, nonostante le difficoltà, siamo riusciti a realizzare), o calmando l’ansia con semplici tecniche di rilassamento e respirazione, laddove prende il sopravvento bloccando l’azione.

 

Conclusione

 

La sindrome dell’impostore è un fenomeno psicologico diffuso, che può avere conseguenze importanti sulla salute mentale e sulla vita sociale, relazionale e professionale di chi ne soffre. Tuttavia una maggiore conoscenza di sé e consapevolezza del proprio funzionamento, e l’adozione di strategie di pensiero e comportamento correttive è possibile sviluppare una prospettiva più sana e realistica di sé. 

 

Scrivi commento

Commenti: 0