
Scritto da Annalisa Barbier
Quello che definiamo genericamente con il termine “senso di vuoto” è un’esperienza psicologica profonda, diffusa e complessa che tutti prima o poi abbiamo sperimentato nella nostra vita, spesso in momenti per noi particolarmente difficili. Si manifesta come la percezione di un’assenza interiore, di una inquietante mancanza di significato, o come una forma profonda di disconnessione da sé, dagli altri, dal mondo e dai suoi significati, dalle sue aspettative. È una condizione esistenziale che può affiorare in momenti di crisi come perdite, cambiamenti, periodi particolarmente stressanti e che, in alcuni casi, può cronicizzarsi fino a diventare una tonalità affettiva stabile che caratterizza la vita psichica dell’individuo. In questo articolo proverò ad esplorare sinteticamente il concetto di “senso di vuoto” dal punto di vista psicologico e psicopatologico.
Senso di vuoto e psicologia
Innanzitutto è utile ricordare che percepire occasionalmente un senso di vuoto, in ambito psicologico non è necessariamente da considerarsi il sintomo indicativo di una patologia o di un disturbo specifico; il senso di vuoto infatti può comparire come una percezione - cognitiva, emotiva e anche somatica - naturale in alcuni momenti di vita caratterizzati da cambiamenti, perdite o processi di crescita interiore. Dal punto di vista squisitamente clinico invece, il senso di vuoto è un sintomo trasversale, che può presentarsi in in numerose condizioni psicopatologiche; esso tuttavia, assume connotazioni specifiche a seconda del contesto diagnostico e della struttura di personalità della persona che lo sperimenta.
Il senso di vuoto costruttivo: lo spazio fertile di transizione
Quella di sentirsi “vuoti” è un’esperienza che spesso consideriamo spiacevole, spaventosa o dolorosa e tendiamo ad etichettarla immediatamente come “negativa” o “sbagliata”, e facilmente ci diciamo: “non devo sentirmi così, c’è qualcosa di sbagliato in me se mi sento così!”. Tuttavia, è importante comprendere che a volte quel senso di vuoto, che tipicamente si manifesta come sensazione somatica localizzata nella pancia o nel petto, in realtà rappresenta una specie di porta, di passaggio obbligato nella transizione verso qualcosa di nuovo.
Ci sono diversi momenti nella vita in cui le cose cambiano, e cambiano profondamente: ad esempio durante l’adolescenza, caratterizzata dai suoi profondi cambiamenti ormonali e corporei e dalla spinta a strutturare e ridefinire la propria identità individuale e sociale; quando si diventa genitori, ed è necessario ridefinire molti dei precedenti aspetti identitari (individuali, sociali, professionali, di coppia) per costruire un nuovo modo di stare nella vita che includa anche il ruolo genitoriale; quando finisce una relazione amorosa importante, lasciando un “senso di vuoto” spesso percepito come incolmabile (ma transitorio), in cui dobbiamo lasciar andare tutti quegli aspetti così importanti della nostra vita, che appartenevano alla coppia e al nostro rapporto con l’altro; quando cambiamo o perdiamo un lavoro che per molti anni ha fatto parte e ha organizzato il ritmo della nostra vita; a seguito di un evento luttuoso, di una perdita o di un grave problema di salute, eventi che ci spiazzano, ci disorientano, e necessitano di tempo affinché possiamo accoglierli ed elaborare il profondo cambiamento che ci portano ad attraversare.
Non sempre dunque il senso di vuoto rappresenta un indicatore patologico; in alcuni casi può costituire un’esperienza fisiologica transitoria, collegata a specifiche fasi del ciclo di vita o a momenti critici di riorganizzazione esistenziale. In queste circostanze, il vuoto non segnala una disfunzione, ma una sospensione del noto, un periodo di transizione in cui vecchie identità, ruoli o riferimenti interiori si sono dissolti, mentre nuovi significati devono ancora emergere.
In questi momenti è normale sentirci persi, disorientati e spaventati, come se il terreno sotto i piedi non fosse più solido: le vecchie certezze crollano, i precedenti punti di riferimento che avevamo dato per scontati improvvisamente svaniscono o non sono più adeguati, e ci ritroviamo in un limbo, in uno spazio indefinito che percepiamo come un VUOTO. Ma questo vuoto, per quanto doloroso, non è necessariamente un nemico; può essere invece un alleato prezioso. Lo potremmo coraggiosamente definire un "vuoto fertile", uno spazio interiore aperto e creativo, una sorta di “brodo primordiale” in cui l’assenza dei precedenti punti di riferimento ci permette di essere pronti e disponibili a che nascano e prendano vita gradualmente nuovi significati, nuovi aspetti identitari e nuove possibilità.
In questi casi, può essere davvero fruttuoso, invece di cercare disperatamente di riempire in ogni modo questo “vuoto” con qualcosa di esterno, con comportamenti compulsivi disordinati o ricercando distrazioni per non sentirlo, darci l’opportunità di abitare il vuoto, di osservarlo, di restare pazientemente in attesa che al suo interno germogli qualcosa di nuovo. Ascoltiamo dunque cosa ha da dirci, osserviamo con pazienza e senza giudicare cosa emerge, impegniamoci ad accogliere questa sensazione di incertezza e di indeterminatezza, che pure fa parte della nostra esperienza umana, e che può dirci molte cose.
Come psicologa il mio compito è anche questo: accompagnare le persone in questo viaggio attraverso il vuoto, senza giudizio, senza fretta, imparando a tollerare il disagio che inevitabilmente può evocare in noi. Aiutandole a riconoscere che questa sensazione non è necessariamente un sintomo da "curare" o di cui sbarazzarci, ma piuttosto un processo naturale di trasformazione, e di richiesta di attenzione interiore, importante e necessario. Attraverso strumenti come la mindfulness, l'esplorazione narrativa, o semplicemente la presenza quieta e accogliente e l'ascolto empatico, possiamo imparare ad attraversare il vuoto senza patologizzarlo, fidandoci della nostra innata capacità di ricostruire un senso, una direzione, un'identità più autentica e consapevole, un nuovo modo di dare significato alla nostra esistenza nel qui ed ora. La tradizione alchemica parla di opera al nero: quella fase iniziale e propedeutica per qualsiasi successivo lavoro interiore che ci porta a “morire a noi stessi” (metaforicamente), affinché qualcosa di nuovo possa nascere dal buio delle profondità della terra psichica.
Ricordiamo che molto spesso ciò che impedisce alle nostre risorse innate di agire, curare, correggere, proporre, attraversare, sono la paura (comprensibile) e la conseguente risposta automatica di avversione ed evitamento, comune nei confronti di alcune esperienze per noi difficili o considerate “sbagliate” o “pericolose”. Imparare ad “abitare” questa sensazione rappresenta un preludio, una condizione necessaria affinché il significato e la proposta che il senso di vuoto porta nella nostra vita, sia una grande opportunità di espansione e realizzazione personale.
Il senso di vuoto nella psicopatologia
Il senso di vuoto è un'esperienza soggettiva complessa e spesso angosciante, caratterizzata da una sensazione di mancanza interiore, di assenza di significato, di disconnessione da sé stessi e dal mondo circostante. Pur non rappresentando un fenomeno necessariamente patologico, come scritto più sopra, questa esperienza può rappresentare anche un sintomo trasversale, presente in diverse condizioni psicopatologiche, che contribuisce significativamente alla sofferenza e alla disfunzionalità dell'individuo affetto.
Nel Disturbo Borderline di Personalità (DBP) il senso di vuoto cronico rappresenta uno dei criteri diagnostici chiave, come indicato nel DSM 5. Esso si manifesta come una perenne e pervasiva sensazione di mancanza legata ad una profonda incertezza riguardo al propria identità, descritta come un “sentirsi vuoti”, o un’assenza di senso, come se qualcosa di fondamentale mancasse all’interno di sé. Nell’ambito di questo disturbo, il senso di vuoto è anche collegato alle difficoltà di regolazione emotiva che ne caratterizzano gli aspetti patologici: ossia le difficoltà di identificare, dare un nome e regolare le emozioni che tendono dunque a divenire sopraffacenti, portando a comportamenti compensatori autodistruttivi come abuso di sostanze, autolesionismo o tentativi di suicidio, finalizzati ad interrompere la sofferenza nel tentativo di riempire il vuoto percepito o di anestetizzare il dolore. La paura dell’abbandono e la profonda sensazione di solitudine possono esacerbare la sensazione di “vuoto interiore”.
Nei Disturbi Depressivi, il senso di vuoto interiore è un sintomo comune; si manifesta come apatia e perdita di interesse, motivazione e piacere nelle attività che prima erano gratificanti (anedonia), e si associa alla difficoltà a sperimentare stati interni piacevoli. È spesso legato ad una visione negativa di sé, dell mondo e del futuro (triade cognitiva di Beck) e può accompagnarsi con sentimenti di autosvalutazione, colpa, tristezza e disperazione.
Nei Disturbi Dissociativi quali il disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione e il disturbo dissociativo di identità (DID), il senso di vuoto può essere legato ad una alterazione della coscienza, dell’identità e della memoria, che distorcono la percezione di sé e del mondo circostante. In particolare, nel disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione, il senso di vuoto può derivare dalla sensazioni di distacco dal proprio corpo (depersonalizzazione) e/o di distacco e non appartenenza dal mondo circostante (derealizzazione), raccontate come la sensazione di non essere reali, o di stare vivendo in un sogno o in un film. Nel DID il senso di vuoto può essere legato alla presenza di diverse identità, o stati identitari frammentati della personalità, che rendono estremamente difficoltoso percepire se stessi come una unità integra, coerente e prevedibile. In questi casi, il senso di vuoto può rappresentare anche la risultante di esperienze traumatiche, che hanno innescato meccanismi protettivi di natura dissociativa per fare fronte alla sopraffacente e profondamente intollerabile esperienza traumatica.
Il senso di vuoto è rappresentato anche nei Disturbi da Uso di Sostanze, spesso innescati proprio dal desiderio di “riempire” un doloroso senso di vuoto interiore ed alleviare l’angoscia attraverso l’induzione esogena di stati interni positivi e desiderabili (Attraverso appunto l’uso di sostanze). Purtroppo tuttavia, l’effetto fisico delle sostanze di abuso diventa esso stesso nel tempo un fattore importante nell’esasperare il senso di vuoto, alterando il funzionamento dei meccanismi cerebrali della ricompensa e portando ad una vera e propria dipendenza fisica dalla sostanza, con tutte le conseguenze fisiche, psicologiche, sociali e relazionali che ne derivano.
Possibili meccanismi psicologici sottostanti il senso di vuoto
Ricordiamo ancora che il senso di “vuoto” è un’esperienza interiore non necessariamente legata alla presenza di un disturbo mentale; esso può rappresentare - nella sua complessità e multifattorialità - anche una normale reazione a periodi particolarmente difficili e dolorosi. Le cause del senso di vuoto sono dunque complesse e multifattoriali poiché possono coinvolgere fattori biologici, psicologici e sociali; tuttavia possiamo esplorare alcuni dei fattori psicologici che lo sottendono:
Tendenza costante all’evitamento: parliamo genericamente di evitamento quando ci riferiamo ad un atteggiamento finalizzato a non entrare in contatto con esperienze (interiori ed esteriori), luoghi o memorie che sono per noi fonti di un disagio che non vogliamo sperimentare. In tali casi, i meccanismi di evitamento (e distrazione), allontanandoci dal disagio ci allontanano anche dalla possibilità di costruire una maggiore conoscenza di sé ed una integrità che sono necessarie al nostro benessere. In questi casi diventa difficile persino riconoscere valori, desideri e bisogni che ci muovono, definendo questa condizione come “un vuoto”.
Assenza di connessione con i propri valori, desideri e bisogni: quando si è disconnessi dalla propria esperienza interiore, distratti o evitanti, questa assenza di contatto e consapevolezza profonda di sé, può nel tempo essere percepita come un “vuoto”, come la mancanza di qualcosa. In questi casi, il senso di vuoto interiore può essere un importante segnale che ci invita ad aprirci ad una esplorazione coraggiosa di noi stessi, per riappropriarci della nostra interezza e complessità.
Difficoltà nella percezione stabile del proprio senso di identità: la mancanza di un senso di sé stabile e coerente può contribuire alla percezione del senso di vuoto.
Disregolazione emotiva: una difficoltà nell’identificare, esprimere e regolare le emozioni può essere collegata/provocare una sensazione di vuoto interiore.
Esperienze traumatiche: in particolare le esperienza traumatiche precoci, possono interferire con lo sviluppo di un sano ed integro senso di sé, e di una buona capacità di riconoscere e regolare le proprie emozioni. Inoltre gli eventi traumatici possono indurre reazioni difensive automatiche che comprendono anche aspetti dissociativi, aumentando il rischio di sviluppare un senso di vuoto cronico.
Stile di attaccamento Insicuro: aver sviluppato uno stile di attaccamento insicuro con le primarie figure di riferimento, può compromettere la capacità di sviluppare un senso di fiducia radicale, sicurezza e connessione con gli altri, contribuendo alla creazione ed al mantenimento di un cronico senso di vuoto.
In conclusione, il senso di vuoto interiore è un’esperienza difficile, a volte molto dolorosa ed angosciante, che attraversa trasversalmente la nostra esperienza di vita lungo un continuum che comprende aspetti fisiologici e normali in particolari fasi di vita, fino a costituire un aspetto importante di diverse psicopatologie. A volte ci invita insistentemente ad una accoglienza ed un ascolto più attento di noi stessi per attraversare momenti specifici della nostra vita ed espanderci per crescere e realizzarci in modo più integro e gratificante. Altre volte ci fa capire che è necessario ricercare un aiuto esterno.
Può essere importante dunque comprenderne il significato profondo e, se necessario, ricorrere al sostegno di un professionista per essere aiutati ad elaborarlo e risolverlo.
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